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gettando in fondo al mare un cappello, che adesso era nelle mani dei giudici.
Fisso in questo problema non intese l’ultima dimanda del giudice, e ciò produsse un piccolo imbarazzo in tutti.
— Non crede che possa essere stato gettato in mare? — chiese con una naturale diversione l’amabile cavaliere Martellini, che non perdeva di vista l’orologio, come per dire all’illustre amico: Abbia pazienza, ho quasi finito.
— È difatti la mia opinione....
— Che cosa fu gettato in mare? — chiese il cancelliere, che stava scrivendo le risposte nel processo verbale.
— Il cappello.
— Il prete.
Queste due parole risonarono insieme, la prima per la bocca del barone che era trascinato dalla forza della verità, l’altra per la bocca del giudice, che seguiva invece i naturali indizi del processo.
L’urto di queste due parole fu una prima scossa dell’edificio che il barone aveva innalzato per sua difesa. Temette di essere già caduto in contraddizione, e si affrettò a dire con grande vivacità:
— Dico il cappello.... il cappello.
— Questo non è possibile, — soggiunse il signor giudice, — perchè il cappello è nelle nostre mani. Anzi, se lo vuol vedere.... Quaglia, togliete il panno.