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celleria». Sopra un terzo: «Carceri». Più in là: «Reali carabinieri».
Un puzzo di chiuso, di polvere e di vecchio inchiostro rendeva ancora più triste quella stanzaccia, al di là della quale il barone di Santafusca sentiva la forza armata, il terrore, la vendetta sociale in agguato, carica di catene e di chiavi.
— Ora, eccellenza, abbiate la bontà d’aspettare due minuti. Poi vi farò chiamare, ed in quattro parole vi sbrigo. Per mezzogiorno ho già ordinato le ostriche.... Sentirete!
Il barone, sentendosi le gambe rotte come chi esce da una gran febbre, sedette: posò il cilindro sulla tavola polverosa, e si asciugò la fronte col fazzoletto.
Per quanto avesse imparato a non credere alle sensazioni, quel trovarsi ad uscio ad uscio colla giustizia umana lo faceva un poco tremare.
Tuttavia il suo piano era infallibile.... non so nulla! Un uomo che tace non può dire degli spropositi.
Era l’ultima scaramuccia. Una volta che avesse portato fuori i piedi da quel tetro palazzotto, pensava di andare sei mesi in qualche paesello della Svizzera, in alto, in alto, in qualche valle romita, e di stare le lunghe giornate sdraiato sull’erba a rinnovare le forze fisiche e intellettuali. Poi.... avrebbe fatto del bene! Ancora una volta sentiva che non si offendono senza strazio e senza pericolo le vecchie leggi della natura.