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Era costui un uomo tondo, un poco tozzo di spalle, ma ben nutrito, bianco di pelle, con due favoriti neri e una bella fronte nitida come una palla da biliardo. Le sue maniere affabili e confidenziali rivelavano l’uomo abituato a vivere nel mondo elegante, e specialmente fra le signore, alle quali soleva regalare dei complimentucci sempre in due versi rimati.
— Come state, barone? non avete condotto con voi la vostra bella prigioniera? È vero che il prigioniero siete voi.... Ah! ah! — il signor giudice rideva a pieni polmoni. — Dev’essere una gran bella prigione, affè di Dio!
— Che cosa?
— La principessa. Basta, voi giocate a partita doppia. Vincete alle corse, correndo, e vincete in amore, arrivando a tempo.
Coll’abbandono dell’uomo abituato a vivere nei salotti, il cavaliere prese sotto il braccio il testimonio, e fermandosi tre o quattro volte in cinque minuti, mentre lo faceva passare in un tetro corridoio, gli disse sottovoce coll’aria di chi fa una delicata confidenza:
— Inter nos, io vi avrei risparmiata anche questa seccatura, visto e considerato che questa sciocchezza del cappello è una cosa senza sale. Ma anche noi, poveri giudici, siamo vittime del pubblico e specialmente dei giornalisti. C’è poi quel povero don Ciccio.... conoscete don Ciccio?...
— No.
— È il più ridicolo uomo del mondo, un «pa-