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gare come don Ciccio potesse seguire il barone di Santafusca fin quasi all’uscio del giudice istruttore.

«U barone» col fare insolente d’un bravaccio fe’ trasalire un vecchio portiere che pisolava in anticamera.

— Che cosa comanda? — chiese costui, alzandosi con dolore delle sue giunture.

— Annunciate al cavaliere Martellini che il barone di Santafusca è a sua disposizione.

E, alzando il bastone, indicò egli stesso al portiere la strada che doveva tenere.

Rimase mezzo minuto a passeggiare con passo soldatesco, e anche questo esercizio aiutò a rinfrancare i suoi nervi. In quel momento egli non pensava nulla. Come lo scolaro che sul punto di andare all’esame sente di aver dimenticato ogni cosa e gli pare di avere la testa piena di stoppa, così il barone non arrivava più a ricordare le espressioni principali delle sue idee; ma non se ne spaventò. Bastava che egli rispondesse a quella razza balorda di avvocati una frase sola: «Non so nulla». È vero che suo avo Nicolò avrebbe risposto in un modo più spiccio, ma.... pazienza! Il cavaliere Martellini fortunatamente ne sapeva meno di lui.

— Vorrei aver tre giorni di regno! — brontolò. — Scribi e farisei!

— Vostra eccellenza è puntuale come un re, — esclamò il grazioso cavaliere, cacciando fuori la testa calva e lucente dallo spiraglio dell’uscio.