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rer suo, era stata piramidale, ed egli stava appunto ripetendo e declamando per la decima volta il suo opuscolo sulle «Magagne ecc.», quando la vista del barone nel modo improvviso e balzano con cui comparve nel vano del portone, fece, io non so perchè, trasalire il suo sangue.

Don Ciccio Scuoto, per quanto abile e zelante avvocato, non era nè un uomo superiore ai tempi suoi, nè un uomo migliore de’ suoi simili. Alla fascinazione, al mal occhio, alle impressioni credeva sì e no, secondo i casi, come si crede tutti un poco ai sogni e magari anche alla cabala del lotto. Egli non conosceva il barone di Santafusca che per averlo veduto un paio di volte di passaggio: ma non per nulla un uomo si fa l’occhio medico e filosofico. Voglio dire che dal modo con cui il barone arrivò davanti alla porta, dal modo con cui puntò il bastone alla colonna, con cui prese d’assalto lo scalone, dall’eleganza esagerata del suo vestito, dal passo legato, sconvolto, da un non so che insomma d’indecifrabile, e forse anche di irragionevole che urtò i suoi nervi, il famoso «paglietta» fu tratto a seguire quell’uomo, come si segue un lumicino che spunti improvvisamente nel fitto d’una boscaglia, dove ci si raggiri da cinque o sei ore senza bussola e con disperazione.

Non è il caso di credere troppo a segreti istinti e nemmeno a misteriose leggi fisiologiche; basta per noi ammettere in queste circostanze un fino istinto delle cose e delle condizioni loro per spie-