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Una giovinetta, forse la sorella o la zietta del bambino, se lo teneva sulle braccia e se lo stringeva al petto con un amore di madre, mentre il babbo del neonato — che pareva un merciaiuolo, — andava girando e rigirando intorno a una colonna, facendo girar nelle mani il suo cappello. Era il suo primo maschio, e il babbo non sapeva come manifestare altrimenti la sua vergognosa contentezza.

Santafusca per la seconda volta invidiò un per uno tutta quella canaglia di miserabili, che avevano trovata la maniera di esser felici, e non avevano la radice di una idea in capo.

All’altar grande diceva messa un frate, con una pianeta rossa fiammante. Un vecchio prete curvo e prostrato nei banchi tossiva forte col capo dentro le mani.

Da un pezzo «u barone» non vedeva una chiesa, e sentì, nel girare gli occhi intorno e in alto, che quelle sacre pareti avrebbero potuto una volta circondarlo e difenderlo dal terribile mostro sociale che rumoreggiava nelle vie. V’erano anditi bui e segreti, ov’egli avrebbe fatto voto di rannicchiarsi tutta la vita, purchè la sua testa (quella povera testa) avesse potuto cessare una volta di pensare, di riflettere, di argomentare.

Forse molte antiche sensazioni religiose della prima età, coperte ma non soffocate dalle rovine della sua vita libertina, si agitavano al di sotto, e alcune immagini, sprigionandosi dalle più intime pieghe del sentimento, traversavano l’anima