Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 248 — |
chiari e freschissimi, un colletto alto, un bastoncino di ebano con pomo di platino, e un profumo d’ireos su tutta la persona.
Per ingannare il tempo scrisse un biglietto dolce e profumato alla principessa per dirle che alle sei sarebbe andato a pranzo da lei.
«Devo farvi un lungo discorso, — le scriveva, — dal quale può dipendere tutta la sorte della mia vita futura».
Che discorso? non sapeva bene egli stesso: ma scriveva così per vivere in qualche maniera al di là di un’ora fastidiosa.
Credette di aver fatto molto tardi, e si accorse, quando fu in istrada, ch’erano appena le otto e mezzo. Aveva ancora un’ora e mezzo da aspettare.
Che doveva fare intanto? Entrò un momento da Compariello, dove non c’era che il padrone, e si fermò con lui a discorrere di corse e di cose vaghe, e a rotolare sigarette colle dita.
— Credevo che ella fosse in villa, barone, — disse Compariello.
— Perchè?
— Perchè l’«Omnibus» parla di una visita che il cronista ha fatto a vostra eccellenza nella sua magnifica villa di Santafusca.
— Dov’è questo «Omnibus»? Sarà stato quell’animale di Cecere. Ecco, proprio lui! — soggiunse scorrendo coll’occhio il giornale. — E così si scrive la storia, rubando un pranzo a un uomo di buona fede!