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Per quanto poco chiare fossero finora le risultanze del processo, tutto faceva pensare che veramente si passeggiava sulle orme sanguigne di un delitto. Le testimonianze di Filippino, di don Ciccio, di Gennariello, di Giorgio, dei contadini della Falda concordavano a provare che un ignoto, vestito da cacciatore, aveva avuto mano in questa misteriosa impresa.

Dopo tre o quattro giorni di rumore, prete Cirillo avrebbe dovuto farsi vivo, se era vivo. In una barchetta da pescatore, presso alcuni scogli, era stata trovata la sacca di un cacciatore, che Giorgio riconobbe subito per quella in cui aveva posto il cappello del prete. Ma le traccie finivano qui e anche il cavaliere Martellini era imbarazzato a procedere, mancandogli da ogni parte il terreno.

D’altro lato molti credevano che prete Cirillo fosse andato in Levante.

— Fatevi coraggio, don Antonio, che se anche il prete è morto, non lo abbiamo ammazzato noi.

Così diceva Martino, sentendo che il suo padrone mandava dei sospiri grossi.

— Io son persuaso che è tutta una lanterna magica, e che i giudici e i carabinieri hanno pigliato un granchio per un prete. Un cappello non è un morto, e se un colpo di vento portasse al diavolo il mio, ciò non vuol dire che io sia morto.

— Fosse almeno quello che voi dite, Martino. Ma se sapeste quale terribile sospetto mi è nato