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cedrate e fresche, di aranci, di cocomeri e di ventagli giapponesi fecero anch’essi dei grassi affari.
Quando cominciò il ritorno, nessuna penna potrebbe dare un’idea del movimento, del brio, del bisbiglio, del visibilio dei colori, del correre, del gridare, dell’allegria sfolgorante in quell’aria piena di sole e di azzurro.
Era un chiamarsi, un salutarsi dall’alto delle carrozze, un rincorrersi di cavalli e di pedoni, una miscela di livree, di piume, di giubbe rosse e bigie, di ventagli, di parasoli scarlatti, di strascichi, di veli svolazzanti; un scintillamento insomma di brillanti e di occhi di fate.
«U barone», rinnovato e trasformato, aveva fatto una corte spietata alla principessa, che intendeva giocare di capriccio e mirava, coll’accettare l’adorazione di Santafusca, a vendicarsi di un segreto tradimento.
Santafusca prese i sorrisi della bella donna nel miglior senso. Era sempre stato il suo sistema di non cercare mai alle donne più di quanto vogliono dare: e in fondo s’era sempre trovato contentissimo.
L’aria, la luce, il calore delle scommesse, le ansie delle corse, tanta gente, tante belle signore richiamarono tutte le forze vive dell’uomo nato per godere la vita in tutta la sua ampiezza, senza reticenze e senza penitenze.
— Eccellenza, eccellenza.... vede che non l’abbiamo disturbata.