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le sue idee con un calore e una chiarezza singolare, con una insistenza quasi noiosa, finchè l’Usilli gli disse una volta:
— O senti, mi hai quasi rotta la testa con questo cappello!
Essendo associato con Usilli, di Spiano e molti altri cavalieri a una partita comune, in cui molte scommesse erano in giuoco, dovette correre tutta la sera e tutta la mattina, ora a cavallo, ora in carrozza, ora dal sarto che non aveva ancora pronta la giubba rossa, ora alla cavallerizza, ora presso alcune signore della aristocrazia, per gli opportuni accordi.
In tutto questo lieto affaccendamento egli ritrovava l’animo, il brio, la grazia, l’eleganza dei suoi trent’anni. Il cavaliere Martellini non avrebbe mai immaginato il bene che aveva fatto a un’anima del purgatorio. Fin la principessa di Palàndes, che non lo vedeva da un pezzo, trovò Santafusca ringiovanito di dieci anni.
Era ancora una bellissima donna questa famosa principessa, in cui si fondevano due vecchie schiatte italo-spagnuole. Rimasta vedova ancor giovane, non andava ancora oltre i trent’anni, e la sua bellezza rifioriva di tutto il pieno sviluppo della seconda età, che nelle vaghe donne è di solito una edizione riveduta, aumentata e migliorata. La principessa si lasciava far la corte volentieri (non aveva altro da fare) e con lei trionfava facilmente l’impresa dell’«audaces fortuna juvat». Il barone — l’abbiam visto — non