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— Bene, bene! — disse il barone, che non si curò nemmeno di leggere i giornali della sera.
Infine si meravigliò egli stesso di sentirsi così sicuro e sollevato.
Un gran peso cadeva dalla sua coscienza sulla coscienza di un altro lui, uscito da lui, ombra pietosa che s’intrometteva tra la vittima e il suo assassino. In questo buon cacciatore bisognava credere quasi per riconoscenza.
E a volte ci credeva proprio sinceramente, come se la sua personalità si sdoppiasse, come il fanciulletto crede all’esistenza reale dell’ombra che giuoca con lui. Era tratto a parlarne volentieri, nella speranza che, parlandone, fosse un mezzo di dare all’ombra una maggiore e reale consistenza.
Così credeva di aiutare l’opinione pubblica ad allontanarsi dal vero e a concentrare sopra un essere impalpabile tutta la responsabilità della nefanda azione.
Questa fu la sua grande preoccupazione per tutto il giorno che precedette le corse.
Dovunque si trovasse, o al club o al caffè, o sul «turf», dovunque insomma si poteva tirare il discorso sul processo del giorno, egli esponeva