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— Una buona idea veramente! — tornò a dire tra sè il barone, che ripassando davanti alle botteghe, si consolava di non rivedere più il cacciatore di prima.

La speranza tornava a rinascere per la terza volta e le sensazioni paurose tornavano a cedere il posto alle riflessioni chiare e positive. Anche questa volta si era impaurito per un’ombra.

Se il vero colpevole era il cacciatore, che cosa doveva temere ora il barone di Santafusca? L’opinione di Granella era l’opinione universale, e quella forse del signor giudice istruttore. I testimoni concordavano nell’aggravare la responsabilità di questo povero cacciatore, che oggi non aveva proprio nulla a che fare col più elegante cavaliere di Napoli.

Tratto dall’evidenza di queste ragioni, e in certi momenti credendo forse egli stesso al mitico cacciatore più che non fosse necessario, entrò in un caffè, e sopra un suo biglietto di visita — con tanto di corona — scrisse al cavaliere Martellini queste righe:


«Caro e amabile cavaliere,

«Leggo ora che nel processo del cappello è implicata Santafusca. Il segretario comunale mi ha scritto che fu violata la santità del mio domicilio. Preparo forti proteste, ma perdonerò facilmente al cavaliere Martellini, se non mi citerà tra i testimoni il giorno delle corse. Se poi