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di stare colle mani in mano. Se era da uomo sciocco ed ubbriaco perdere la testa per un cappello, non conveniva permettere che i giornali s’impadronissero del fatto, e andassero a cercare cinque piedi al montone. Poichè Santafusca era implicato in questa faccenda, era dover suo correre, interrogare, andare dallo stesso procuratore del re a sentire quanto c’era di vero in fondo a questo cappello.
Anche il troppo tacere in una cosa, in cui direttamente o indirettamente entrava il suo nome, poteva destare qualche sorpresa nella gente. Una parte bisognava pur rappresentarla in questo processo, almeno quella di padrone di casa.
Bisognava assolutamente ch’egli tornasse a Napoli: si lavò le mani, acconciò le vesti, chiamò il servo e dimandò se c’era una carrozza chiusa che lo portasse in città.
— Ella deve comandare tutto ciò che desidera.
— Dirai al marchese.... ma spero di vederlo io stesso, fra un paio d’ore.
Bisognava ch’egli vedesse i giornali della mattina, e se era necessario pubblicasse qualche rettifica.
— Maledetti i giornali! — diceva «u barone» sdraiato nell’angolo della carrozza a due cavalli che volavano verso la città. — Maledette le ciarle stampate! Se io fossi il padrone, vorrei affogarli tutti i giornalisti!
Il sentimento feudale dei vecchi Santafusca ribolliva in lui, e il sangue ribellavasi con furore