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un grosso avana, spinse una poltrona sul terrazzo, vi si sdraiò, distendendo le gambe, e aprì il giornale, mentre mandava grossi buffi di fumo al Padre Eterno.
Nel bel mezzo della pagina a grossi caratteri vide stampato:
IL CAPPELLO DEL PRETE.
Lo vide bene e non mostrò meraviglia. Gli pareva un fatto così sciocco e comune, che non valeva quasi la pena di occuparsene. Lesse solo per curiosità le prime righe, e per un giramento del capo gli si mescolarono le parole in una broda nera e sanguigna.
Un resto di ragione, sopravvissuta al bagordo, cercò di richiamare l’attenzione dispersa sulle cose inchiodate dalle parole sulla carta: ma il cervello era pieno di fumo. Il vino, il pasticcio d’oca, la torta, l’aragosta che egli aveva mangiato, fecero ad un tratto come una macina da molino sulla bocca dello stomaco.
«U barone» si sentiva schiacciato in mezzo al petto, mentre la testa si squagliava, volava. Al disotto del gran fumo usciva tratto tratto la grossa scritta nera, segnata da altre righe nere in cui spiccava il nome di prete Cirillo, il cappello, il cappellaio, Santafusca, la scatola....
Non ne capiva il senso, ma un atomo di coscienza restava come infilzato su uno spillo a soffrire atrocemente di tutto quel diavolìo di ge-