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cipi, e molto probabilmente lo scudiero l’aveva rubato al suo padrone.
— Vino rubato è vino già pagato.
I turaccioli scapparono dalle bocche d’argento come palle di lucide mitragliatrici, e saltarono in mare. Un’onda bionda e spumosa come i capelli di Marinella riempì le coppe, i piatti, traboccò, spruzzò i seni delle ragazze che si tuffarono gridando in quel dolce lavacro fremente, mentre «u barone», più alticcio degli altri, diceva di celebrare la santa messa.
Per quanto ei fosse venuto con tutte le buone intenzioni di non chiacchierar troppo e di custodirsi sempre cogli occhi, non poteva impedire al Reno e allo Sciampagna di dire anche le loro ragioni. Lieto ed ebbro di una falsa ilarità, guardando attraverso il bicchiere si rallegrava di non vedervi nulla, nemmeno un puntino nero.
Dall’alto terrazzo della villa l’occhio poteva scorrere su tutta la superficie del mare di sotto, che fa da ampio piatto azzurro alla tazza azzurra del firmamento. Nel gran tremolìo fosforescente delle ondine al sole palpitava l’immensa vita della natura, quella vita che «u barone» sentiva in sè, mentre stringeva Marinella nelle braccia.
Chi avrebbe pescato in quel gran mare di seicento leghe un cappelluccio di prete?
— Tu mi hai promesso cento volte di condurmi a Santafusca; ma sei un barone d’un barone, — disse Marinella.
— L’ho venduta.