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Socchiudendo gli occhi, come se avesse paura di vedere un capo di morto, cacciò le mani nel carniere, sentì il suo cappello, lo trasse fuori, buttò il carniere nel fondo della barca, con una cinghia legò il cappello stretto stretto al fucile, e ridendo gelidamente nel buio, tuffò il fucile nell’acqua, fino alla bocca, compiacendosi di tenerlo un momento nel pugno per assaporare più lentamente il suo trionfo.... poi aprì la mano.

Il fucile e il cappello, precipitando senza rumore, si perdettero negli oscuri abissi del mare.

— Ecco fatto, prete! — disse a voce alta «u barone» ridestando un piccolo suono nascosto tra gli scogli. Pareva che il prete rispondesse: amen.

Un’ora dopo sotto un torrente di pioggia «u barone» rientrava in città. Andò a casa difilato, si spogliò degli abiti da cacciatore, si cacciò nel letto e si addormentò di un sonno greve e senza pensieri. Ne aveva bisogno. La giornata era stata lunga e piena di scosse. Si sentiva le ossa fracassate, l’anima affranta: e dormì profondamente sulla sua vittoria.


*


La mattina seguente, mentre sua eccellenza dormiva ancora profondamente sulla sua vittoria, i ragazzi strilloni correvano per le vie di Napoli a gridare coi foglietti in mano: