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mo che nel buio, nel deserto, nella quiete profonda della notte sentiva troppo sè stesso.

E si sarebbe forse buttato in mezzo alla via affranto e nauseato, se, uscendo da un vicoletto, non si fosse trovato davanti tutto il mare, con una immensa spiaggia aperta e deserta, colla sua bell’onda grossa e sbuffante, che veniva faticosamente sul lido e qui si scioglieva fremendo sulla ghiaia in un lieto bisbiglio di spume.

A sinistra Napoli splendeva di mille lumi; nella notte mandava un ampio bagliore al cielo.

La notte era chiusa, senza vento, senza stelle, e pareva fatta per un delitto.

Dieci o dodici passi avanti c’era un piccolo promontorio di neri scogli e di ciottoli che si protendevano nell’acqua.

«U barone» fu guidato da una mano invisibile (alla quale cominciava a credere fin troppo) verso gli scogli, e vi trovò una barcaccia da pesca coi remi dentro, legata a un masso con una catena e riparata dai flutti. Non c’era intorno anima viva. Entrò nella barca, la sciolse, prese i remi, e pigliato il momento che l’onda torna indietro, con quattro colpi si trovò al largo, avvolto nelle fitte tenebre, solo, tra un mare nero e un cielo nero, dimenticato da tutti, diviso dalla morte da sole quattro assicelle tarlate.

Egli aveva data una grande battaglia alla natura, che inutilmente l’aveva fatto inseguire dai suoi fantasmi. Finalmente l’uomo forte e prudente l’aveva vinta!