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fatto quel maledetto cane col suo improvviso abbaiare era rimasta come un senso di acuta trafittura tra le costole a sinistra.
Dopo tre quarti d’ora di buon viaggio giunse in vista della stazione. Traversando un passaggio della strada ferrata, chiese al cantoniere se c’era molto tempo alla corsa per Napoli.
— Un’ora e mezzo, cacciatore, — disse l’uomo, che stava aggiustando uno scarpino di ragazzo seduto su un tronco presso il casello, da dove usciva la voce di una donna e il pianto d’un bimbo.
Un gran silenzio ed una gran pace regnava intorno a quella casupola, tuffata nel chiaror roseo del tramonto, in mezzo alla grande solitudine.
— Come sono felici questi pitocchi! — pensò l’ultimo dei Santafusca.
La schietta confidenza con cui Giorgio della Falda ed il casellante gli avevano parlato, credendolo uno dei loro, lo aveva avvicinato a un mondo che di solito egli guardava troppo dall’alto; voglio dire, al mondo dei bisogni semplici e degli affetti semplici della natura. Solo in questo terreno vergine cresce l’erba della felicità.
— Come sono felici questi pitocchi! — tornò a pensare, mettendosi a sedere sopra il parapetto di un ponticello, che traversava un torrentaccio, lontano cento passi dalla stazione.
Aveva un’ora e mezzo da far passare, e poichè il luogo era quasi disabitato, e nessuno lo co-