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prese il cappello, lo schiacciò nelle mani e lo fece passare nel carniere. Il cacciatore lasciò fare, duro, quasi irrigidito tra la panca e la tavola.

— Ecco qua, ci son pochi cacciatori al mondo che prendono di queste lepri.

— Quanto costa il pane, il vino e il cacio?

— Dodici soldi, galantuomo: il cappello ve lo do per nulla e dite pure a don Antonio che mi assolva da tutti i miei peccati passati e futuri.

— Glielo dirò....

In quella entrarono in bottega due contadini, e Giorgio, pieno il cuore della sua avventura, si mise a raccontare subito la storia del cappello, mentre lo faceva saltare e ballare sulle mani.

Tutti risero del povero prete e dell’uccellaccio chiuso nel carniere.

Rise anche il cacciatore per essere in carattere, ma appena potè farlo senza dar sospetto, uscì, salutò i buoni amici e prese la sua strada, col carniere in ispalla, gli occhi fissi innanzi, nello spazio infinito, la testa piena di fumo. Il cuore era esultante e trionfante come chi sente d’essere sfuggito a un duro cimento di morte.

Camminava a passi lunghi, cadenzati, per la strada in discesa: e ad ogni passo il carniere che batteva nel fianco mandava un suono armonico di scatola vuota.

Quel suono richiamava un’altra impressione, sprofondata anch’essa nelle viscere più cieche della memoria.