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Egli non immaginava il male che aveva fatto a un uomo già malato di palpitazione di cuore.

Passata la prima impressione, era per il cacciatore un’occasione troppo ghiotta, perchè potesse in quel momento pensare ancora al suo mal di cuore. Si sforzò dunque di ridere anche lui, di ridere, sì, mentre l’occhio affascinato e impaurito si fissava sul brutto cappellaccio sconquassato, che Giorgio gli aveva messo davanti sulla tavola.

Nessun fisiologo, nemmeno il celebre autore del «Trattato delle cose», potrebbe descrivere il nucleo di sensazioni che vibrarono intorno al cuore del barone Santafusca, nell’atto ch’egli stava per stendere la mano e impadronirsi dell’anima di prete Cirillo. In fondo a una battaglia buia ora un’acqua buia, profonda, piena di gioia amara e piena di spavento. Il cuore martellava ancora, ma erano le ultime sensazioni. Dopo sperava di ritrovare la pace, che deriva dalla coscienza della propria sicurezza.

— Ebbene, volete voi che io porti questo cappello a don Antonio? sarà per mio zio una grata sorpresa.

— Date a Cesare quel che è di Cesare, — disse Giorgio. — Voi mi sbarazzate la casa di un cattivo augurio.

Se ci sta nel carniere. Provate un po’....

— L’uccellaccio è grosso, ma schiacciandogli un poco le ali....

Quel goffo ragazzetto, che rideva nel gozzo,