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in questo buio, ma brancicando mi pare di toccare il corpo di un delitto....

Don Ciccio si era fatto lugubre e cupo. Colla sua voce incisiva, col suo dito lungo e teso, colla sua stringante istruttoria fece scorrere un brivido per tutte le schiene. Il suo cilindro bianco non aveva più un pelo a posto.

Don Nunziante provò a dire che probabilmente il prete aveva perduto il cappello cacciando fuori un momento la testa dalla finestra di un vagone; ma a nessuno piacque una ragione così semplice e così probabile. Uscir fuori con un pensiero così comune e banale era un far torto a tutte quelle fantasie, che, riscaldate dal vino e accese dalle parole di don Ciccio, cominciavano già a credere a qualche cosa di straordinario. Non bisogna mai disturbare le speranze della fantasia. Una storia terribile uscì grande e compiuta dal fondo del cappello, come Minerva uscì grande ed armata dal cervello di Giove. Per quel giorno fu messa in disparte la gioia. Don Ciccio raccolse un piccolo consiglio e propose di portare la faccenda, così com’era arrivata in tavola, all’illustrissimo signor procuratore del re, il commendatore Jonetti, amico suo, anzi suo compagno di università, uomo fino e prudente, acuto, un poco parente del ministro degli Interni.

Intanto non bisognava dir nulla ai giornali liberali, che, quando si tratta dei poveri preti, li impiccherebbero nudi. Se v’era delitto, Dio ha