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minciò a correre per le vuote stanze, guardando in ogni angolo; risalì, dopo tanti anni che non vi poneva il piede, l’antico scalone sparso di calcinacci, traversò una lunga fuga di sale quasi cadenti, infilò delle scalette, discese in luoghi non mai visti, persuaso già di non potervi trovar nulla, ma cacciato dalla sua paura, dalla sua irragionevole curiosità, dal desiderio acuto e pungente di mettere la mano su quel maledetto cappello che si sottraeva al suo dominio.
Una volta si arrestò e si chiese:
— E non l’avrei io sepolto col suo padrone?
E si chiese ancora se si sentiva pronto per comperare la pace di rimovere di notte il mucchio dei mattoni, di rimovere tutta quella sabbia, di sollevare la pietra, di guardare....
Ma egli era troppo sicuro che non aveva più cappello quella testa rotta quando scese nella tomba....
Come se queste idee fossero la peste, «u barone» fuggì innanzi a loro, saltò sul cavallo, uscì e si ricompose nella sua abituale rigidezza, quando vide venire incontro il segretario. Questi chiuse il cancello e consegnò con molto ossequio la chiave al signore, che non volendo partire senza aprire la bocca, uscì con queste parole:
— Che cosa avete detto del nipote di Salvatore?
— Che gli ho consegnato certe robe ch’erano nella stanza del defunto....
— Ah! — esclamò «u barone» aprendo la boc-