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Lo fece. Nulla.
— Maledetto! — ruggì in cuor suo.
Mentre il suo giudice interno diceva «nulla», un fruscìo di paglia scossa si fece sentire dentro lo strame della vicina stalla e uscì un cane: un cane nero che stette sull’uscio a guardare l’uomo con piccoli occhi gialli.
«U barone» mandò un sordo mugghìo di toro strozzato e gridò:
— Va via....
Il cane fuggì correndo in mezzo alla paglia.
Santafusca si riprese e con un colpo di volontà si dominò.
Non aveva picchiato più forte sul prete.
— È il cane di Salvatore, — disse un pensiero; ma il corpo tremava come un filo teso che una mano forte abbia fatto vibrare.
Sentendo che le forze stavano per abbandonarlo, ebbe più paura della sua debolezza che del morto. Se egli si lasciava vincere e cadeva estenuato, era perduto.
Da quando in qua aveva imparato ad avere paura dei cani?
Aveva egli parlato a quel cane?
Come poteva dire di non temere lo spettro di Banco, se la vista d’un cane lo spaventava tanto?
Guardò ancora una volta con occhio di sfida per tutti gli angoli del cortile, nella stalla, nella legnaia.... Nulla. Ma aveva paura a tornare indietro, paura di quel cane.