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sepolto in grembo alla terra, avrebbe attinta l’energia del bene, come l’«Innominato» del Manzoni, anima nera venduta al demonio, che trovò nelle lagrime della compunzione e nelle buone azioni la sua morale rigenerazione.
Ma l’«Innominato» aveva incontrato sulla sua via un buon vescovo, non un ispettore di pubblica sicurezza.
I tempi allora non erano troppo sofistici, e nessuno chiese a colui il pagamento di tutte le sue bricconate cogli articoli del codice penale in mano. Bastarono le lagrime della contrizione a lavare tutto il sudiciume di una coscienza malvagia.
Se un Dio avesse potuto promettere anche a lui, barone di Santafusca, questo incondizionato perdono, egli sarebbe caduto in ginocchio.
— O che forse esiste un Dio sì buono? — diceva voltandosi nei suoi pensieri come in un nero lenzuolo. — Se esiste, perchè, non accetta il mio debito e non attende che io lo paghi a poco a poco con una vita di espiazione? Io non avrei più denaro per me, ma tutta la mia ricchezza sarebbe il tesoro dei poveri. Io farei prosperare questi campi, lavorerei io stesso colla zappa in mano, sotto la sferza del sole, in mezzo ai coloni, dividendo con essi il pane e l’acqua della loro povera mensa. Perchè dunque non accetta Iddio questo mio pagamento a soldi a soldi? Se esiste, non vede che io son sincero nel mio dolore e nel mio proponimento? Non vede come