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Queste idee passarono in confuso, come dentro a una nebbia, mentre preceduto dal segretario si avviava verso la villa.
Strada facendo, Jervolino gli raccontò che era stato da lui un certo Giorgio che si diceva nipote di Salvatore, con una lettera che lo zio gli aveva scritto un mese prima di morire, nella quale lo nominava erede di alcune casuccie e di un vecchio fucile.
— Conosco il giovinetto e sapevo che Salvatore aveva intenzione di lasciargli queste poche robe; sicchè ho creduto di consegnargliele ieri l’altro.... Ho fatto male, eccellenza?
— Avete fatto bene, — disse «u barone». — Dove abita questo giovinotto?
— Alla Falda, lassù, eccellenza, e tiene una osteria detta del «Vesuvio».
«U barone» saltò da cavallo, legò la bestia a una inferriata e ringraziò il segretario, mettendogli in mano uno scudo d’argento per i suoi servizi.
Quello accettò inchinandosi e offrendo la sua intera servitù. E se ne andò.
L’altro, poichè l’acqua era cessata, restò un momento sul piazzale davanti la casa e fissò gli occhi verso l’orizzonte, dove le nubi umide e lacerate lasciavano vedere qualche lembo di sereno. I piedi sprofondati nella ghiaia umida parevano morti. Si dimandò perchè era venuto. Non se lo ricordava più. Quando gli tornò a mente, provò un freddo raccapriccio, e l’impresa gli par-