Pagina:De Marchi - Il cappello del prete, 1918.djvu/150


— 134 —

cellenza il barone Coriolano di Santafusca entrò tra le case del villaggio col passo e coll’animo di un vincitore.

Il calpestìo dei piedi ferrati sui ciottoli richiamò l’attenzione della gente. Tutti riconobbero «u barone» ed egli fu superbo che lo vedessero. Dalle botteguccie e dalle finestruole uscirono le teste, i berretti, le cuffie dei curiosi, quei che erano nelle vie s’inchinarono quasi fino a terra.

«U barone» entrò in un piccolo angiporto e fermò il cavallo per lasciar sfogare il mal tempo. La pioggia scendeva mista a grandine e rumoreggiava sui tetti, sui muri e sulle strade, ribollendo, gorgogliando negli stretti scolatoi.

— Chi di voi mi chiama il segretario? — disse sua eccellenza.

Un ragazzetto corse come una lepre, e due minuti dopo Jervolino, il segretario, venne in pianelle, saltando le pozze dell’acqua, e inchinò il barone.

Questi intanto aveva chiesto ai presenti qualche notizia intorno alla morte di Salvatore e intorno al raccolto delle ulive e del vino.

I più vecchi gli rispondevano col loro linguaggio immaginoso che i tempi buoni erano morti, che la freddura aveva mangiato gli aranci, che i figliuoli non guadagnavano più gli orecchini dell’amorosa nella pesca del corallo, che «u guerno» portava via tutto colle tasse.

Sotto i berrettoni rossi di lana e sotto la vernice nera del sole e del tempo «u barone» rico-