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a sopportare le conseguenze della premessa, ma bisognava rimuovere tutte le occasioni di far pensare gli altri. Bisognava ritrovare quel maledetto cappello.

Era arrivato al punto che più non distingueva chiaramente tra il morto e il cappello. Di queste due figure torve e nemiche, non era prete Cirillo la più cattiva.

Il prete — sentiva in modo confuso il peccatore — il prete avrebbe potuto, nella sua misericordia, perdonare; il cappello, no.

Questi nuovi pensieri che nascevano dal terreno del fatto allagavano gli altri pensieri fatti prima a casa. Il cavallo non andava avanti. Il temporale saliva sempre più dietro la montagna. Una gran tenda funebre di nuvoloni copriva il colle e il lido, e la pioggia scendeva a righe sottili, a sbuffi, premendo ora più, ora meno, tra i giuochi dei lampi, che impaurivano la bestia.

«U barone», sollevando gli occhi all’imponente spettacolo della natura corrucciata, fino all’alta regione del tuono e del baleno, si sentì come una pagliuzza in balìa degli elementi. Il sentimento della fatalità, che fabbrica ed agita uomini e cose, dissipò, come un bagliore di lampo, i romantici spettri della sua infantile superstizione. Che colpa ha il fulmine quando uccide il povero agricoltore accanto all’aratro? Uomini e fulmini siamo ciechi esecutori di forze universali.... Avanti!

Il cavallo nitrì, scosse la criniera, e sua ec-