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strarsi l’uomo allegro e spensierato dell’altre volte, sia che andasse al club delle caccie, sia che sedesse vicino a Marinella, o che pranzasse all’«Europa» con qualche amico. L’Usilli gli fece una volta un’osservazione, dicendo:
— Bevi troppo veleno verde, Santa, e fumi troppo.
Ma «u barone» beveva e fumava senza accorgersi.
Il terzo giorno, sentendo che non avrebbe mai più potuto vivere in quelle incertezze (per quanto la gente e i giornali non dessero segno alcuno di occuparsi della cosa), andò alla scuderia della cavallerizza Biagi, dov’era molto conosciuto, prese a nolo un bellissimo puledro, e saltato in sella, traversò Napoli in tutte le vie più popolose, facendo caracollare la bestia dov’era più fitta la gente, suscitando apposta le imprecazioni dei cocchieri e dei merciaioli ambulanti. Voleva con ciò che Napoli lo vedesse sano, allegro, trionfante, come se non fosse mai accaduto nulla che un barone di Santafusca non credesse degno di sè.
Per dir la verità, non c’era un cane in tutta Napoli che pensasse più a prete Cirillo o al suo cappello, tranne forse di tempo in tempo Filippino e i suoi; ma il barone si faceva l’idea che il mondo non potesse pensare che colle sue idee e non gli pareva mai di mostrarsi abbastanza allegro e disinvolto. Arrivò fino al punto che gli amici lo trovavano un pochino noioso.