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blico, si sentì attratto dalla forza potente che emana dalla moltitudine e si chiese «se non era cosa utile e patriottica giovarsi della forza viva che trascina centomila al leggere, per suscitare in mezzo ai palpiti della curiosità qualche vivace idea di giustizia e di bellezza che aiuti a sollevare lo spirito».
Il romanzo d’esperimento, non già sperimentale, com’egli stesso ebbe a scrivere, interessò, commosse, divertì, dimostrando che anche in Italia, volendo, si potrebbe far meglio degli altri. Nè il successo fu solo del momento, giacchè il romanzo d’appendice sfidò la prova del tempo.
Casa Treves lo raccoglieva nel giugno del 1888 in nitida edizione, e lo lanciava in tutta Italia e all’estero.
La critica seria applaudiva al giovane Autore e i raffronti della idea filosofica celata sotto la bizzarra fiaba del Cappello erano tutti altissimi: — l’«Oreste», l’«Edipo re», gli «Spettri» di Ibsen, «Delitto e castigo» di Dostojewski, l’«Innominato» del nostro Manzoni....
Cesare Cantù scriveva.... «Eccellente il fondo. Interessante l’intreccio. Schietta la forma. Scacco ai romanzatori vecchi....»
La «Patria Italiana» lo stampava a Buenos Aires nelle colonne del suo ampio giornale, contemporaneamente lo stampava «L’Italia» a Chicago.
All’edizione di lusso Casa Treves fece seguire l’edizione popolare. Altra edizione popolare