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— Ecco! Io sono venuto per sapere da vostra eccellenza (sempre se è lecita l’indiscrezione) quanto c’è di vero nella voce che ella voglia vendere la sua villa di Santafusca.
— Nulla c’è di vero, — rispose recisamente sua eccellenza.
— Dirò il perchè della mia dimanda. Sua eminenza cerca nei dintorni di Napoli un palazzo grande e adatto per collocarvi un seminario o collegio teologico, che potesse servire nello stesso tempo di villeggiatura al sacro capitolo.
— Non ho nessuna intenzione di vendere Santafusca, — tornò a ripetere il barone.
— È strano, perchè in Curia si dava per certo che un prete di Napoli avesse già data a vostra eccellenza un’anticipazione per l’acquisto non solo della villa, ma anche dei terreni annessi.
— Uhm! — fece il barone, raccogliendo tutto il suo spirito. E pensò: — Sempre quel maledetto prete!
— La cosa pareva tanto più attendibile in quanto che chi doveva acquistare, e diceva di aver già in parte acquistato, era uomo danaroso e venne egli stesso più volte a fare delle offerte al cancelliere della sacra mensa.
— Ah!... ella, monsignore, vuol forse alludere a prete.... Cirillo...?
Il barone pronunciò queste parole tutte su una nota con tono di canto fermo. Era la prima volta che il nome di prete Cirillo (dell’assassinato), risonava sulle sue labbra, e gli parve che