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nanzi. Sentì anche un passino delicato e strisciato sul pavimento; poi l’uscio si aperse adagio adagio....

Licet? — chiese una voce morbida come il miele.

— Avanti! — gridò «u barone» forte, come se comandasse uno squadrone di cavalleria.

Entrò un piccolo sacerdote rotondo e molle, con una faccia butirrosa, con abiti lindi e freschi, con due manine grassottelle piene di pozzette e con un portamento di grande cerimoniere. S’inchinò, socchiudendo gli occhi: e masticando le parole col gusto di chi mastica delle prugne cotte, disse:

— Ho io l’onore di parlare con sua eccellenza il signor barone Coriolano di Santafusca?

— Precisamente, e io ho l’onore di....

— Io sono monsignor vicario e vengo incaricato di una rispettosa dimanda a vossignoria per parte di sua eminenza monsignor arcivescovo.

— Prego, si accomodi.

Il barone fece qualche passo innanzi, indicò una poltroncina, ne accostò un’altra per sè. Il grazioso monsignore non volle sedersi per il primo, il barone insistette, e dopo un po’ d’altalena, per rispetto e per obbedienza, il prete cedette alle gentili insistenze, sedette, collocò il suo bel cappellino di seta a tre punte sulla sponda della scrivania, si lavò due volte le mani nell’aria, e aprendole d’un tratto come due girasoli, disse: