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Tuttavia il buon vecchietto, che sentiva stillare sui capelli d’argento la fresca rugiada de’ suoi fiori, pensava che nell’amor di Dio si è sempre giovani abbastanza, e che il cuore dei buoni non invecchia.
Così pensava, coll’innaffiatoio in mano, quando venne Martino a corsa a dire che Salvatore era caduto sulla strada preso da un gran male. Corresse don Antonio giù verso la villa coll’olio santo, se pure c’era tempo ancora. Corresse di qua, mentre egli correva di là a suonare la campana.
Don Antonio lasciò in fretta le formiche, corse in chiesa, prese il suo tricorno per ripararsi dal sole, intascò la stola e il vasetto dei sacri unguenti e, come gli permettevano le gambe, scese verso la villa preceduto da alcuni contadini, che avevano aiutato a portare Salvatore in casa.
Il poveretto era proprio agonizzante. Un secondo colpo era caduto a rompere un’esistenza già sconquassata. Salvatore abitava nella villa una cameruccia a terreno, che nei tempi antichi aveva servito di muda agli uccelli. Pochi stracci, un vecchio canterano, un paio di sedie, un pagliericcio, formavano tutta la sua ricchezza. A capo del letto pendeva il vecchio fucile, che da dieci anni non aveva ucciso un uccellino. La ruggine se lo mangiava silenziosamente.
Il moribondo non mormorò che poche parole inconcludenti; ma don Antonio, pensando che