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dalle poche sillabe che ci scambiammo a’ piedi della scala, mi accorsi che stentava a metter fuori certe consonanti.
— Dov’è? — chiese con gli occhi gonfi, perduti nel vuoto.
— Importa che in casa non sappiano nulla, se si può. Povera gente! — gli dissi.
Facemmo i quattro passi che conducevano alla scuderia. Lungo il muro, tra le ruote di una carrozza c’era una stuoia stesa sul selciato, dalla quale uscivano due scarpette lucide da ballo. Non osammo varcare la soglia. Col capo basso e col cuore pieno dei mille pensieri, che ispira sempre la vista d’un cadavere, si stava lì come impauriti, quando un rumoroso battere di pantofolette chiamò la mia attenzione e mi fece guardare in su.
Arabella, coi capelli sciolti, uscita sul terrazzino verso corte, batteva nell’aria le scarpette da ballo della mamma, canticchiando nella chiara allegria di una fresca mattina di marzo. E rientrò canticchiando.
— Che cosa si può fare per ingannare la famiglia? — chiesi commosso al signor Demetrio.
Egli guardò a destra, a sinistra, in terra, nei cantucci della corte, come se cercasse quel che si doveva fare. Siccome Cesarino aveva detto che non sarebbe tornato per tutto il giorno, così c’era tempo di preparare una pietosa