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se in braccio Giovedì, che seguitava ad abbaiare contro l’uscio, con una mano gli strinse il muso per farlo tacere e se lo portò via. La povera bestia si dibatteva nelle strette come un’anguilla.

Il Berretta stava facendomi vedere la mano con cui aveva aiutato a distaccare il morto, che teneva aperta in aria, lontana dal corpo, come se non fosse più sua, quando sopraggiunse il signor Demetrio.

Era la prima volta che vedevo questo bravo signore, che non somigliava per nulla a suo fratello, non tanto per esser egli più vecchio, quanto per la espressione, per il colorito del viso e per il modo di vestire. Mentre Cesarino era ciò che dicesi a Milano una cartina, di pelle fina e bianca, sempre elegante, pulito e aristocratico, questo signor Demetrio aveva all’incontro l’aria di un vecchio fabbro vestito coi panni della festa. La pelle era cotta dal sole, rugosa: la fronte bassa coperta dai capelli, che uscivano quasi a foggia di un tettuccio, di un colore rossiccio e duri come lesine, com’erano i baffi duri e rasati, che coprivano un poco il labbro.

Nelle orecchie arricciate come frasche di cavoli, qua e là rosicchiate dal gelo, portava anellini d’oro secondo il costume dei contadini della Bassa Lombardia, che credono con ciò di evitare il mal d’occhi. Scarso di parole,