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luce mattutina. Le campane di San Sisto sonavano l’Avemaria. Lasciò cadere ancora la testa, stanca del bel sonno della fanciullezza, e si addormentò un’altra volta.

Il cane, colle quattro gambe tese rigidamente sugli scalini e col corpo quasi indurito dall’emozione seguitò un pezzo a urlare nell’ombra contro l’uscione aperto del solaio. Ficcava gli occhi nel buio della soffitta, ma non osava fare un passo nè avanti, nè indietro, come se, tranne la voce, la povera bestia fosse istecchita nelle sue costole.