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Per una scaletta di legno si saliva, oltre il suo pianerottolo, a un terrazzino aperto sul tetto per il medesimo uscio del solaio. Su quel terrazzino Cesarino Pianelli aveva un poco di botanica. L’uscio del solaio, di legno massiccio, come al solito era rimasto aperto e Cesarino se la prese ancora mentalmente contro il guattero dell’osteria, un animale che non aveva le mani per chiudere, quando andava lassù a prendere il carbone. L’uscione, sbatacchiato dalla forza del vento che entrava per l’abbaino, mandava di tratto in tratto dei cupi rimbombi nella torre della scala. Cesarino alzò gli occhi e vide in mezzo a due nere travi una pezza più chiara di cielo.

Introdusse dolcemente la chiave nella toppa e sospinse il battente.

Giovedì, un brutto cane volpino, che egli aveva raccolto per via la notte d’un giovedì santo, si mosse nel suo giaciglio, posto in un angolo dell’anticamera, mandò un guaiolo; ma, riconosciuto il padrone, si accoccolò di nuovo a dormire.

Camminando sulla punta dei piedi, si avvicinò all’uscio della stanza da letto: e ascoltò.

Beatrice era tornata e dormiva da una mezz’ora, profondamente, cullata dall’eco delle danze.

Tornò indietro, sempre sulla punta dei pie-