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Le goccie cadevano ancora a vento, fitte, rabbiose. Quantunque i vestiti leggeri della festa e le scarpe basse di pelle inverniciata fossero un costume poco opportuno per affrontare uno scroscio di quella forza, pure il signor Pianelli, detto lord Cosmetico, quasi per il gusto di fare un dispetto a sè e a qualcuno fuori di sè, cominciò a discendere, passo passo, verso il ponte, masticando il suo sigaro amaro e insieme una risoluzione più acre ancora, coll’aria indifferente del giovinotto che va a spasso a pigliare il fresco.

I ciottoli battuti e slavati uscivano dal terriccio coi vari colori, come un rozzo mosaico, mentre i lastricati, tirati lucidi come specchi, scendendo in linee parallele per tutta la lunghezza del Corso, riflettevano la doppia fila delle fiamme a gas, fino alla barriera di Porta Venezia.

Anche in questa parte non un’anima viva in quell’ora. Buie tutte le finestre e anche al disotto del bollichìo dell’acqua cadente si sentiva, sto per dire, quel silenzio gravido di sonno che è proprio delle ultime ore della notte, in cui sogliono riposare anche i malati e si assopiscono i moribondi.