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il signor Guerrini, detto il Bòtola, leggeva l’articolo di fondo della Perseveranza, sillabando colle labbra le parole e movendo la testa ad ogni principio di riga.

Era un omaccio di mezza età, corto di gambe, rotondo, paffuto, con due liste di barba nera che gli cascavano in bocca. Vestiva come un modesto padre di famiglia, che per economia porti i calzoni non troppo lunghi e un cilindro vecchio e lavato per risparmiare il pane dei suoi figliuoli.

Cesarino tirò uno sgabello vicino al noto usuraio e cominciò un discorso sottovoce, che il buon uomo aveva poca voglia di ascoltare.

— Ma lei vuole il pegno in mano e l’uomo in prigione — disse con dispetto una volta Cesarino.

— Io non voglio niente, caro lei. È lei che vuole. Cerchi una garanzia.

— Quando voglio impiccarmi spendo meno.

— Questo è vero — soggiunse il Bòtola senza cessare di leggere il suo giornale.

Il corso era sul finire. All’imbrunire uscirono i primi lumi dalle botteghe e nella profondità della via Torino verso il Carrobio, si vedevano discendere a poco a poco le fiammelle dei lampioni. Seguendo la fiumana della gente che rincasava, Cesarino si lasciò trascinare anche lui verso casa in mezzo al frastuono dei matti, dei carri, delle trombette,