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creditrice, che si distendeva col suo anfiteatro di case, di cupole, di campanili raccolta intorno al gran fantasma del Duomo, al di là degli orti, nel chiaro sfondo d’un bellissimo cielo di marzo.
Aveva scritto al Martini, per invocare altre ventiquattro ore, ma il tempo passava senza profitto.
Per un migliaio di lire un uomo, che in un anno ne contava a milioni, un Cesarino Pianelli, conosciuto come la bettonica, era costretto a stendere la mano come se cercasse la carità. Vergogna!
Provava in fondo al cuore un amaro corruccio e, sto per dire, un senso d’odio contro il Pardi, il Martini, il suocero, gli amici del Circolo che, senza accorgersi, egli accusava come gli autori principali della sua rovina.
Era quasi giunto presso l’Ospedale dei Cronici, in un luogo del bastione umido e malinconico come la febbre, quando fu scosso dai suoi pensieri da un disperato gridare e vide passare un carro di contadini addobbato d’un lurido lenzuolo, con una bandiera trecolori in alto, pieno di villani in maschera, che col viso tinto e con delle scope in mano strillavano la loro goffa allegria. Allora si ricordò ch’era il sabato grasso.
Quei poveri gonzi, passando e traballando