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uomo già sulla cinquantina, ma ancora fresco e morbido come il burro, sempre amabile e cerimonioso colle signore, alle quali pagava volentieri qualche sorbetto. Gli era toccata la disgrazia e la fortuna di sposare una moglie brutta, sempre malata, ricca, che passava due terzi dell’anno in campagna; ed era naturale che cercasse qualche compenso nel vedere a ballare e nel pagare qualche sorbetto alle altre.

C’era la Pardina col suo Pardone, che questa volta s’era lasciato trascinare, che usciva per tre quarti dalle falde del frac. Stava in piedi per combattere il sonno tremendo che gli offuscava gli occhi, ma non vedeva l’ora d’esser sotto le coltri. C’era il ragioniere Quintina, un gobbetto elegante, terribile freddurista, che girava in mezzo alle gonne a far della maldicenza. Nè mancavano i giovinotti di spirito, tra cui il Casati, il Pensotti e molti altri del Club Alpino.

Tranne le poche commendatoresse, che soffiavano la prosopopea, le altre signore, quasi tutte milanesi, appartenevano al ceto medio degli stipendiati a mille e otto, a due mila, alcune delle quali avevano lasciato a casa una nidiata di ragazzi e il popò in letto colla nonna. Non c’era da meravigliarsi che vi fossero dei guanti lavati in mezzo a molti guanti freschi.