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veva all’entrare una bellissima camelia e un cartoncino bristol coll’elenco delle danze stampate in oro; e tra le signore ve n’erano di giovani, di fresche e di quelle che combattevano l’ultima battaglia, la Waterloo della loro giovinezza.

Nella sala il formicolìo della gente già verso le undici era grande. Nel rimescolamento dei colori vivi, tra i luccicori delle gemme, dell’oro, degli occhi, nell’agitarsi di tante spalle e di tanti ventagli, cresceva il cicalìo fitto e caldo, misto a scoppi di risa, a piccoli applausi e alle declamazioni aleardiane del Bianchi, che faceva la parte del brillante della compagnia.

Per quanto la folla fosse tenuta in soggezione da qualche illustre personaggio (tra cui spiccava la pancia del commendatore Malvano, capo-divisione al Ministero delle Finanze, colla rotonda metà, una baronessa napoletana), si sentiva d’essere a una festa di famiglia in cui gli elementi omogenei si fondevano volentieri e si aiutavano nell’unico sforzo di stare allegri.

C’era, per quel che mi ricordo, il Porti del Municipio colle sue eterne due ragazze, che da dodici anni trascina su tutte le feste e che hanno fatto un collo lungo, dicono i maligni, a furia di cercarsi un marito.

C’era il cavaliere Balzalotti, del Demanio,