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gione spiccava in mezzo a tutto quel nero; gli occhi profondi e intelligenti guardavano molto lontano, al di là delle cose, come fanno tutti gli occhi che pensano.

— Lo so bene, — ripetè, seguitando l’idea che le passava davanti. — Non avrei creduto che dovesse finire così. Povero papà!

— La mamma lo fa per il vostro bene, — fu presto a dire Demetrio, che nella voce quasi severa della fanciulla credette di intendere un’altra voce che si corrucciasse in lei.

Non mai Arabella gli era parsa così somigliante al povero Cesarino come quella sera che la rivedeva nell’abito elegante e nella luce bianca dei fanali. Il suo profilo suscitò la memoria del giovinetto collegiale che un altro Demetrio bifolco incontrava ai tempi della mamma Angiolina, quando, i piedi in due zoccoli di legno e una forcona in ispalla, usciva dalla stalla dei buoi.

Giovann dell’Orghen intanto, vestito degli abiti di un disertore, andava ramingando davanti a tutti gli sportelli, guardando in terra, se mai la Provvidenza avesse lasciato cadere un mozzicone di sigaro. Demetrio stava accostando nei suoi rapidi confronti il passato al presente, i vivi ai morti, quando s’intese l’ululato di Giovedì, che i guardiani chiudevano nello scompartimento riservato ai cani che viaggiano.