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nato stupido, col groppone grosso, a portare pesi e dolori: il mondo è degli eleganti, degli ingegnosi, dei furbi, dei romanzieri, dei giornalisti, dei cantanti, degli avvocati chiacchieroni, che stendono la mano d’uno all’altro, fanno una catena, allacciano il globo, soffocano i diritti dei poveri di spirito, creano una opinione falsa del bene e del male, sono ladri e giudici, comandano come i domatori delle fiere nei circhi, lusingandosi della propria forza; ma guai se la belva un dì s’accorge che la forza è sua!
Pardi mandò ancora un sordo gemito, adocchiando collo sguardo corrucciato a destra e a sinistra se vedeva gente.
Il bastione era deserto. Nella chiara luce del meriggio gli antichi ippocastani versavano un’ombra densa e quieta sulla strada polverosa e sull’erba corrosa dello spalto, dove passeggiava con passo svogliato e col fucile a tracolla la guardia di finanza.
La città, colla moltitudine delle case, dei campanili, dei camini biancheggiava davanti a lui nel caldo bagliore del sole di luglio, mandando una voce confusa d’immenso alveare umano, voce che veniva a finire contro il massiccio edificio del carcere, che opponeva nella sua tetraggine un silenzio di tomba.
Melchisedecco sognava cogli occhi aperti e abbagliati un giorno di rivoluzione. Gli pareva