Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 491 — |
tolo, passò di là, in fabbrica, risalì la lunga corsìa in mezzo al vespaio dei rocchetti giranti, dei pettini, delle calcole saltellanti, provando nel rumore aspro del lavoro un sollievo al dolore dell’anima sua; uscì dall’altra parte. Per una scaluccia di legno scese nel sotterraneo della piccola motrice, parlò col fochista di cose inconcludenti, e per la stretta privata del vicino magazzino di legna si trovò di nuovo in istrada, all’aria aperta, sul ponte del Naviglio, a contemplare l’acqua verdognola e quasi stagnante, a strologare il tempo, colle mani nelle tasche come un vagabondo, sempre in ansietà di veder spuntare da qualche parte una carrozza a due cavalli, con dentro lei, o sola o accompagnata da qualcuno.
E se non fosse tornata più? quando si ha il cuore e la pazienza di ordire dei tradimenti così sottili e così ben preparati, non deve mancare nemmeno il coraggio di abbandonare la propria casa per sempre e l’uomo che ha fatto carne del suo cuore per fare di una brutta sgualdrina una signora degna di una buona famiglia.
— Mangerai il pane che ti meriti!
Era sempre la voce della sua povera mamma, donna avveduta, di lunga esperienza, che aveva letto negli occhi della «nera» (la chiamavano così in fabbrica) la forza di dieci diavoli, al punto che, quando il matrimonio