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II.


Il Pardi si ricoverò in un caffè vicino, dove rimase forse un’ora cogli occhi aridi, fermi sulla vetrina, intento, in apparenza, a guardare di fuori la gente che va e viene come le figure di una grande lanterna magica, ma in fatto non vedeva chiaro una spanna in là.

Stava lì, come un sacco di roba che quattro matti piglino a bastonate, aspettando che si stancassero di battere. In meno di dieci ore si sentiva invecchiato di dieci anni. Aveva la febbre, ovvero qualche cosa di ardente e di mordente che lo scoteva di dentro. Tratto tratto portava alle labbra la tazza d’acqua, trangugiava un sorso per bagnare la lingua e la gola, per isforzarsi d’inghiottire il veleno che gli faceva amara la bocca ed acre il sangue.

— Vergognosa, sgualdrina, canagliaccia! — diceva una voce interna; ma di fuori non appariva nulla, come se egli fosse al caffè ad aspettare l’ora d’una partenza, a far passare un tempo lungo e noioso, sempre fisso