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senza una emozione, tediata, piena, gonfia della sua stessa fortuna di agiata borghese, sempre in lotta o colla tenera bontà di suo marito, o colle tentazioni de’ suoi pensieri.

Era più felice forse quando lavorava di là, in fabbrica, e che poteva almeno sfogare l’umore, tirando uno zoccolo nella schiena a qualcuno.

Per quanto non invidiasse nè il temperamento, nè il «lasciatemi stare» di Beatrice, per quanto non credesse alle sue massime di donna pacifica, doveva però confessare, con un piccolo risentimento d’invidia, che quella bambocciona era più fortunata di lei.

Anche un Paolino qualunque, che abbia cavalli, carrozza, una stalla piena, tre o quattro cascine popolate di oche e di galline, è qualche cosa di più allegro e di più vario che il passare la vita in una vecchia e quasi lurida casa del Terraggio, colla prospettiva del Naviglio melmoso, che manda su ogni sorta di malanni, nel perpetuo stordimento di una fabbrica che fila nastri e noia, noia e nastri.

Quel che rispondesse a Beatrice non si sa: sembra però che vincessero la tentazione, il capriccio e la curiosità, perchè il mercoledì, un’ora prima di sera, una carrozza di tipo campagnuolo, a due cavalli, si arrestò davanti alla fabbrica del signor Melchisedecco Pardi. Palmira partì sola alla volta delle Cascine.