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ceso, e, se un gran dolore più crudele non avesse occupata e riempita di sè tutta la sua esistenza, sarebbe bastato questo dubbio per amareggiargli la vita.

Il Pianelli, fingendo che alcuno lo chiamasse allo sportello, andò a sedersi al suo posto, prese la penna e si pose a copiare una tabella. Copiò, copiò forse dieci minuti una lunga fila di numeri, materialmente, in forza di quell’abilità automatica che acquista la mano di chi scrive molto, che sa andare da sè e quasi ragionare da sè anche quando il cervello è assente.

Il Martini aprì la cassa grande, di cui aveva lasciato la chiave, e chiuso in un freddo silenzio, che si poteva interpretare come lo stato d’animo d’un uomo che ha il cuore irrigidito, mosse e rimosse molte carte e molti valori.

Poi passò alla cassa piccola, che aveva lasciato nelle mani dell’aggiunto.

Il Pianelli si mosse, quasi per uno scatto interno, e disse:

— Veda se tutto è in ordine.

— Non c’è dubbio.... — balbettò freddamente il Martini.

Il Pianelli tornò al suo posto e riprese a scrivere, a scrivere. Ma gli occhi vedevano rosso.

Il Martini seguitava a rovistare, a muovere