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faccia all’altra senza poter parlare, egli combattendo una estrema e violenta battaglia colle sue lagrime, essa quasi stordita dal suo stesso non capire.

Seguitava ad interrogare quel poverino cogli occhi grandi, incantati, senza un’idea chiara di quel che desiderasse sapere da lui, ma agitata da un senso misterioso di pietà e di paura.

Demetrio con la faccia più stravolta che rallegrata da un sorriso d’uomo malato, agitò ancora la mano nel vuoto, come se cercasse di ravvivare un discorso rimasto spezzato.

— Che cosa avete, povero Demetrio?

A questa dimanda e più che alle parole al suono intenerito della voce, come se tutta la vita gli rifluisse nel cuore, affascinato e tratto dalla sua stessa debolezza e da una vertigine soave, si abbandonò verso quella tenera compassione di donna, come un bambino impaurito, che corre a rifugiarsi nella gonna della madre. La stanza si riempì della luce ch’egli aveva negli occhi, in cui guizzavano le scintille del crepuscolo; la pregò ancora una volta, sigillando la bocca colle dita, di compatirlo, di andar via: la spinse anzi un poco verso la porta, allungando il braccio e la mano con cui teneva nervosamente stretta la piccola mano di lei, si attaccò, per non andare in terra, alla sponda della sedia, vi si rannicchiò,