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— Gli scriverò, — disse, — gli scriverò dimani da Genova.... Addio, state bene.... Aggiusterò tutto: addio!... siate felice....

Beatrice, quasi sollevata da lui, s’alzò lentamente senza togliere gli occhi dal viso di suo cognato, che, dopo averla commossa in modo straordinario, si commoveva anche lui fino alle lagrime, e diceva parole strane, agitando la mano nervosa e smarrita davanti alla bocca, tremando in tutta la persona magra e rannicchiata come un uomo che cerca di fuggire da un tremendo disastro.

Che aveva quel povero uomo? che fosse ancora ammalato? che gli rincrescesse di partire e di lasciare la sua gente?

Furono tre o quattro questioni, che si presentarono insieme in quel momento all’intelletto non sublime della povera donna, che, abituata a vivere di sè, incapace di supporre mali lontani diversi dai suoi, e pur sentendosi cagione delle lagrime di Demetrio, stava lì in piedi, vittima anch’essa della sua meraviglia, lontana ancora molti passi dalla verità, incapace di andarle incontro.

— Voi partite dimani? È proprio vero? È per causa mia che vi tocca di partire? — chiese con un naturale tremito di voce.

— Non per causa vostra.... È il destino così. È forse meglio per me....

Rimasero un altro mezzo minuto l’uno in