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— Ingrato anche tu.... — mormorò sorridendo.
Amoretto gli tenne dietro e andò a posarsi sul cappello di ferro di un fumaiolo.
Il Marchesino — così chiamato per il suo garbo — saltò sulla gabbia e volò di qua e di là per la stanza, seguìto dagli occhi di Giovedì, finchè venne a posarsi sulla spalla del padrone. Demetrio lo prese delicatamente nel palmo, lo fece saltare sul dito e presentandolo a Giovedì, cominciò a dire:
— Dunque si parte tutti quanti dimani. Mandiamo avanti questo signore a preparare gli alloggi...?
E dopo aver accarezzato il canarino sulle ali, sporse la mano nel vuoto e gli diede la libertà. L’uccellino con un volo frettoloso e sgomentato andò a cadere sulla gronda di un tetto.
La femmina lo seguì, gli volò d’appresso e sulla gronda si concertarono sul da fare. Qualche altro era già partito senza dir nulla.
Le nubi d’oro cominciavano a scolorire.
Sempre seduto in faccia alla finestra, Demetrio contemplava le gabbie vuote, assorto, immerso nel malinconico silenzio di quelle piccole case deserte, velando gli occhi d’una riflessione piena di mestizia. Si sentiva malato ancora, d’un male che non è febbre, ma che filtra come una febbre ghiacciata nelle midolle degli ossi.